La luce della Fede
«Mi ha parlato il mio Signore
e mi sorprendo d’essere.
Quale esilio temerò
se ovunque su di me
grandeggia il cielo?
Son oasi e castello questi irti luoghi,
mia reggia sono
spiumati monti ed aride sterpaie.
La mia dimora è dove
più chiara mi raggiunge
di Dio la voce».
(Achille Abramo Saporiti)
Quante volte ci siamo sentiti dire: la fede è cieca, buttati!
Oppure l’abbiamo vista rappresentata con una benda sugli occhi.
È vero: chi crede non vede tutto. Ma la fede può essere solo questo?
Un buttarsi alla cieca?
E se la fede fosse invece una luce? Se con la fede invece si vedesse di più, si vedesse meglio?
Per entrare nel tema proposto quest’anno per la decorazione del cero possiamo farci aiutare da un passaggio dell’enciclica sulla fede Lumen Fidei[1].
È una lettera straordinaria e conviene lasciarle una parola di introduzione:
La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi, deve venire da una fonte più originaria, deve venire, in definitiva, da Dio. La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo. Da una parte, essaprocededalpassato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è lucechevienedalfuturo, che schiude davanti a noi orizzonti grandi, e ci porta al di là del nostro “io” isolato verso l’ampiezza della comunione. Comprendiamo allora che la fede non abita nel buio; che essa è una luce per le nostre tenebre. Dante, nella Divina Commedia, dopo aver confessato la sua fede davanti a san Pietro, la descrive come una “favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla”.[2]
Ecco ci siamo imbattuti in un primo dato importante: la fede è capace di illuminare tutta l’esistenza, non è qualcosa che tocca solo una parte di noi. È un dono d’amore che prende tutto: passato, presente e futuro. È qualcosa che ci fa camminare.
Il secondo dato importante lo prendiamo dalla citazione di Dante, la fede è paragonata ad una fiamma, ad una stella che splende.
Come non pensare ad Abramo nostro padre nella fede e uomo delle stelle.
La storia di Abramo ci aiuta a vedere come la fede possa aprire cammini inaspettati.
Abramo ormai vecchio si sente interpellato da Dio, che lo chiama per nome. Dio chiede ad Abramo di lasciare la sua terra e gli promette una discendenza numerosa e una terra dove vivere.
Abramo si fida di questa parola ed intraprende il cammino.
La fede dell’inizio, così sbilanciata, attraverserà anche momenti difficili, momenti di prova, dove Abramo e sua moglie Sara non sempre si ricorderanno della promessa di Dio. Così il Dio fedele ogni volta tornerà a farsi vicino in vari momenti del loro cammino, rilanciando la promessa.
Ci sono in particolare due episodi da guardare più da vicino.
Il primo si trova al capitolo 15 del libro della Genesi e vede come protagonista Abramo.
Abramo è scoraggiato, il desiderio di una discendenza gli sembra svanito, ma il Signore ancora una volta si fa presente. In questa circostanza però è Dio stesso a condurlo quasi fisicamente fuori, sembra andare oltre la sola parola.
Abramo deve compiere un gesto, deve uscire: Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». (Gen 15, 5)
Abramo deve compiere un piccolo esodo da sé, Dio non lo rimprovera, ma amplia il suo sguardo, lo porta fuori e gli fa vedere il cielo, lo costringe ad alzare gli occhi, a fidarsi ancora una volta del desiderio profondo che lo abita, infinito come le stelle del cielo. Quanto questa esperienza ci è familiare! Alzare la testa e vedere l’immensità del cielo sopra di noi e quel senso di infinito che entra dentro e ci fa respirare, quelle luci lontane ci sono così familiari e ci rimettono in cammino.
Il secondo episodio riguarda Sara e si trova più avanti nel racconto, siamo al capitolo 18 di Genesi.
Sara è ormai vecchia e l’idea di una discendenza le sembra impossibile, Sara ha fede nella fede di Abramo, non si stacca da lui. Quando tre angeli faranno visita ad Abramo alle querce di Mamre per annunciare che sua moglie avrà un figlio, Sara ride di questa promessa, la percezione che ha di sé in quel momento è di essere una donna ormai avvizzita.
Eppure Dio non si lascia fermare davanti a nessuna delle nostre sterilità, anzi a partire da esse si rivela come il Signore della vita:«C’è forse qualche cosa di impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio». (Gen 18,14)
Questa riflessione sulla luce della fede trova espressione figurativa sul cero che darà avvio alla prossima Veglia pasquale.
La decorazione del cero presenta in alto la mano aperta di Dio segno che tutto è dono suo.
Poi troviamo le stelle, luci che guidano lungo il cammino e riaccendono la fede, luogo dove la promessa di Dio si incontra con il desiderio dell’uomo.
La disposizione delle costellazioni rappresentate sul cero corrisponde a quanto si vedrà guardando il cielo dalla Palestina la notte di questa Pasqua.
E poi in basso troviamo Abramo e Sara segni di una fede incarnata fatta di adesioni ma anche di sbandamenti e di momenti in cui tocca appoggiarsi alla fede di un altro. Anche l’incredulità di Sara è presente sul cero perché la fede non è un onda costante di certezze, ma dono di Dio e luogo della sua manifestazione e anche attraverso le nostre incredulità Egli rivela la sua presenza.
La luce del cero che verrà accesa in questa Pasqua possa crescere in noi e riaccendere la consapevolezza che: La fede “vede” nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla Parola di Dio.[3]
Buona Santa Pasqua di Risurrezione!
[1] La prima stesura di questa lettera enciclica è stata scritta da Benedetto XVI, è stata poi completata e pubblicata durante il magistero di papa Francesco che ha assunto questo lavoro aggiungendo ulteriori contenuti.
[2] 4 Paradiso XXIV, 145-147.
[3] Lumen Fidei, pag. 12
Romite Ambrosiane
Sacro Monte di Varese,
Santa Pasqua 2024