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Il cero Pasquale: Floreis excubemus et tedis[1]
(VEGLIAMO CON FIACCOLE FIORITE)
“Il fiore anche tagliato, conserva il suo profumo, e calpestato lo accresce e, strappato, non lo perde.
Così anche il Signore Gesù, su quel patibolo della croce, calpestato non marcì, strappato via non si dileguò, trafitto dalla punta di quella lancia divenne ancor più bello, rinnovandosi nel sacro colore del suo sangue sparso: egli non sapeva cosa fosse la morte ed esalava ai morti il dono della vita eterna”.
(Sant’Ambrogio, trattato Sullo Spirito Santo, II, 39)
La veglia che vivremo quest’anno, nonostante le restrizioni, gli orari insoliti e la mancata processione, vedrà ancora l’accensione di un nuovo cero pasquale. La sua luce sarà ampia e non tarderà a illuminare il nostro vegliare e i nostri passi. La luce del cero, infatti, come la colonna di fuoco che conduceva il popolo di Israele durante il cammino nel deserto, continua a guidarci durante la veglia pasquale con la sua fiamma, conducendoci sino all’incontro con Cristo risorto. L’annuncio del sacerdote: Cristo Signore è risorto! Risuona così in ogni direzione e in tutti i cuori. Ma esso non si ferma a quel momento preciso, la resurrezione desidera avvolgere l’intera esistenza dell’uomo, di ogni uomo. Durante l’anno liturgico il cero pasquale accompagna in particolare due momenti significativi della vita del credente: risplende durante la celebrazione di un battesimo e viene collocato di fianco ad un feretro durante un funerale. Questo sta a significare che tutta la vita viene “inondata dalla luce pasquale di Cristo” e nella risurrezione “trova la sua origine, la sua forza, il suo senso, il suo fine”[2].
È questa la luce che ci raduna, che apre la via anche se a volte ci sembra di non vederla e ci appare flebile. Soprattutto in questo periodo così segnato dalla sofferenza, essa vibra accanto a noi come buona notizia, come fiamma che scalda, come presenza amica. Questa vicinanza ci aiuta a vedere, davanti alla nascita di nuove vite, un futuro e ci apre alla speranza di fronte alla malattia e alla morte di tanti cari.
In questo orizzonte si inserisce il tema scelto quest’anno per la decorazione del cero pasquale.
Al significato originale della luce che risplende nella notte e al legame con il tema battesimale si aggiunge un altro elemento: la bellezza dei fiori e il loro profumo.
I fiori hanno un legame molto stretto con il cero pasquale. Scopriamo che la presenza di elementi floreali su di un cero può assumere un significato più profondo di una semplice decorazione. Troviamo traccia di questo legame nello stesso Preconio pasquale che descrive con immagini molto poetiche la gioia del vegliare con fiaccole originate da fiori. La descrizione di cui riportiamo la traduzione italiana è ora presente solo nella versione latina del messale e omessa da quello italiano:
«In quest’attesa che giunga la notturna Resurrezione del Signore, nostro Salvatore, è quanto mai appropriato[3] accendere la pingue cera, dotata del candore dell’aspetto, della soavità del profumo e dello splendore della luce e che non si scioglie in un liquido putrido né emana un odore sgradevole. Che cosa può esservi infatti di più consono, di più festoso che vegliare per il Fiore di Jesse con fiaccole originate da fiori? Tanto più che la Sapienza ha cantato di sé: io sono il fiore del campo e il giglio delle valli (cf. Ct 2,1). […] Conviene dunque attendere l’arrivo dello Sposo al chiarore dei fragranti lumi della Chiesa».[4]
A partire da questo testo è nata la riflessione che ha condotto e ispirato la rappresentazione del tema floreale presente sul cero.
La materia di cui è composto il cero non è un elemento secondario. Abbiamo scelto di lavorare su un cero realizzato in pura cera d’api. Queste laboriose creature traggono dai fiori alimento per la loro vita e per la loro instancabile attività. Il legame che quindi esse intrattengono con i fiori dà origine a quelle fiaccole di cui parla il preconio.
Il testo del preconio pone l’accento, inoltre, sulla soavità del profumo. L’esperienza che possiamo fare davanti ad un fiore coinvolge il nostro olfatto che sente il profumo che esso sprigiona. Quest’esperienza sensoriale può avvenire anche quando il fiore, attraverso una trasformazione, si offre a noi sotto forma di incenso.
L’incenso ha origini molto antiche, ne troviamo testimonianza anche nel libro dell’Esodo e nel Talmud. La parola incenso deriva dal latino incendere che significa bruciare; il profumo intenso e avvolgente che esso emana si sprigiona, infatti, attraverso una combustione. Nella prassi della Chiesa dei primi secoli i fiori potevano entrare nelle chiese solo sotto forma di incenso, perché nulla in esse veniva introdotto senza aver subìto un passaggio, una pasqua. I fiori, divenuti incenso, accompagnavano la preghiera dei fedeli. In questa logica possiamo intuire meglio l’ampiezza e la profondità del versetto come incenso salga a te la mia preghiera (sal 140). Nell’immagine dell’incenso vediamo la nube che sale e porta a Dio la preghiera del fedele, ma possiamo vedere anche il cammino che il fedele stesso è chiamato a compiere nella preghiera, nella sua relazione con Dio, che continuamente subisce dei passaggi, e vive grazie ad un dinamismo pasquale.
Tra i tanti, abbiamo scelto di rappresentare i fiori di quattro tipi di spezie che, secondo la tradizione, compongono l’incenso: Galbano parente della Flerula galbaniflua detto finocchio gigante; Nardo; Zafferano e Cinnamomo, pianta che fornisce la cannella.
Alla base del cero appare così un braciere nel quale i fiori vengono trasformati. Il loro profumo diventa visibile in un movimento ascensionale. Per accompagnare e rendere più plastico questo movimento verso l’alto abbiamo applicato alcuni grani di incenso. Quest’applicazione non vuole, però, ricordare l’usanza di affiggere sul cero cinque grossi grani di incenso a significare le cinque piaghe di Cristo. Questo uso, infatti, si diffuse nella pietà popolare della chiesa milanese, quando, sotto l’influenza della liturgia romana, il cero pasquale fu letto come simbolo di Cristo Risorto.
L’ultimo elemento degno di nota che decora il cero è il fiore del giglio che non solo viene nominato nel testo omesso del preconio, ma vuole ricordare la figura di san Giuseppe nell’anno a lui dedicato nel 150° della sua proclamazione come Patrono della Chiesa Universale.
[1] Cfr. Preconio latino.
[2] Marco Navoni, L’anno liturgico ambrosiano. Brevi meditazioni, 1993, NED.
[3] La tunica variegata, Conversazioni sul rito ambrosiano, a cura di Marco Mauri, 1995, NED.
[4] Norberto Valli, Il triduo pasquale ambrosiano, 2016, CLV – edizioni liturgiche.
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