“Sembrami diminuito il peso d’una dozzina d’anni”
Suor Marianna Florinda Staureghi
La beatificazione di Caterina e Giuliana avviene nel 1769, in piena era illuminista. Ricordiamo che con il termine illuminismo si intende quel movimento, sviluppatosi in Europa nella seconda metà del Settecento, che si propone di lottare contro l’irrazionalità, l’ignoranza, i pregiudizi e le superstizioni. L’arma assunta per questa lotta è la ragione: gli illuministi sono convinti, infatti, che basti diffondere i lumi, i principi razionali, per spazzare via le cause di oppressione e di infelicità degli uomini. Guardano al passato (specialmente al Medio Evo) come a una lunga serie di errori e ne sottopongono a critica tutti gli istituti politici, giuridici, culturali e ovviamente anche religiosi. Per questo la beatificazione delle nostre Beate, in questo preciso momento storico, è un evento di grande rilievo per le Romite del XVIII secolo. La loro vita ha ancora qualcosa da dire, da raccontare. La loro vita è ancora esempio per arrivare alla santità.
Bisogna evidenziare che tutta la propaganda illuminista era di natura denigratoria nei confronti dei contemplativi, in quanto ritenuti socialmente inutili. Tuttavia tale propaganda non ha totale presa nel cuore del popolo, soprattutto nel caso delle Romite di Santa Maria di quel tempo, in quanto mai viene a verificarsi uno scollamento tra le religiose e la realtà del popolo, anzi! La popolazione del luogo interviene in favore del monastero in due circostanze particolari: la prima è nel 1802 quando si inizia a parlare della vendita dei locali abitati dalla comunità in regime di soppressione; la seconda è quando, già dopo il ripristino del 1822, inizia a manifestarsi un nuovo intento di chiusura da parte del neonato Regno d’Italia.
La Lombardia era sotto il dominio degli Asburgo, la cui monarchia si appoggiava in maniera decisiva sui principi illuministi. Il governo austriaco non si fa alcun problema ad interrompere bruscamente un’antica e consolidata tradizione di rapporto tra il potere civile e il mondo religioso. Infatti, Maria Teresa d’Austria, nel 1767, mette in vigore una legge che stabilisce che in tutto il territorio lombardo il religioso, dal punto di vista civile, debba ritenersi come morto.
Questo clima di cambiamento culturale ha delle conseguenze all’interno della vita del nostro monastero: si apre infatti un lungo periodo di impegno per la sopravvivenza. L’abbadessa Giovanna Fedele Besozzi chiede, nel 1771, alle autorità civili il permesso di questua, in quanto il mantenimento del santuario, delle cappelle del rosario e del monastero stesso è diventato troppo oneroso visti gli aggravi tributari e la sospensione di varie esenzioni. In quegli anni poi, iniziano ad essere chiusi molti monasteri, soprattutto maschili, con numero giudicato insufficiente oppure con rendite scarse. Questo clima freddo e grigio non scoraggia, però, le vocazioni. È interessante e affascinante vedere che nel 1780, al momento di un nuovo ingresso in monastero, il numero delle monache tocca la cinquantina.
Il dominio austriaco, con Giuseppe II, che diviene Imperatore d’Austria nel 1780, vara delle nuove disposizioni disciplinari, stabilendo ulteriori restrizioni per i permessi di professione religiosa, sancendo anche diverse soppressioni di comunità totalmente contemplative. L’autorità ecclesiastica tenta di ribellarsi a questo eccesso di potere, ma nulla può di fronte all’imperatore che, nel giro di una dozzina d’anni, riesce a ridurre i monasteri di circa la metà. Nel secolo dei Lumi, della libertà, della tolleranza tante comunità religiose come la nostra riescono a sopravvivere solo perché e fino a quando sono in grado di dimostrare che si sono sempre adoperate per essere operose a vantaggio del pubblico. Oltre alla pulizia esteriore del Santuario, l’ospitalità e l’educazione, tra i sevizi riconosciuti di pubblica utilità nel nostro Monastero figurano anche le prestazioni farmaceutiche della spezieria – attività documentata sin dal XVI secolo.
Nel 1796 si apre un nuovo capitolo nella storia della Lombardia: il governo austriaco viene scacciato da quello francese guidato dal generale Napoleone Bonaparte. Si instaura la prima repubblica cisalpina con la quale gli avvenimenti precipitano. La Chiesa Ambrosiana subisce diverse espropriazioni da parte del potere civile. Anche per la chiesa di Santa Maria abbiamo notizia di almeno una di queste privazioni: un verbale datato 27 gennaio 1797 attesta che l’abbadessa suor Maria Crocifissa Trecati deve consegnare alle autorità civili ori e argenti di proprietà del monastero e del santuario. Sempre in conformità a tale decreto non era stato neppure possibile rinnovare gli uffici di governo del monastero. Ormai la sciagura della chiusura è più che annunciata: il 21 novembre 1798 il monastero di Santa Maria viene soppresso, vengono tuttavia lasciati i locali alle ex monache che vogliono ritirarvisi, avendo come governatrice suor Marianna Florinda Staurenghi.
Il periodo della soppressione dura ventiquattro anni. Decisiva è la presenza di suor Marianna Florinda Staurenghi che, pur non essendo ufficialmente abbadessa, non manca di dare vita a numerose iniziative con determinazione e avvedutezza. Intrattiene corrispondenza con gli uffici amministrativi, con i responsabili di governo e con le autorità ecclesiastiche, proponendo loro suppliche e relazioni a favore del Monastero di Santa Maria. La perseveranza e l’instancabile speranza della Staurenghi porta frutto già da subito: in un documento datato 1798 si attesta una situazione non del tutto sfavorevole alla sopravvivenza delle Romite. C’è da dire che il Monastero ospitava non soltanto le ex monache dello stesso, ma anche ex monache provenienti da altri monasteri. Infatti, nel documento che abbiamo citato, si consiglia al “Cittadino ministro” di nominare confessori delle ex monache tutti e tre i sacerdoti stabiliti nel Santuario di Santa Maria.
Un altro spiraglio di speranza sembra aprirsi con il periodo della seconda Repubblica Cisalpina (1800-1802) e della successiva Repubblica Italiana. Nella sua nuova veste di Presidente della Repubblica Italiana Napoleone annuncia il blocco dei provvedimenti di soppressione delle case religiose e dichiara pubblicamente di voler ripristinarne la vita purché questi dimostrassero di avere un numero sufficiente di membri e di svolgere attività a garantirne il mantenimento. Appena giungono loro queste notizie anche le nostre consorelle del XIX secolo inviano al Bonaparte una supplica di ripristino in cui dichiarano di essere in numero di ventidue, di avere dalla loro parte un pio benefattore, nonché una piccola attività, ovvero la loro non ordinaria spezieria.
Nonostante tutte le dichiarazioni ufficiali le soppressioni vanno avanti. Nel 1802 nel circuito di Varese vengono chiusi altri conventi e monasteri; nel 1808 Napoleone invade gli Stati della Chiesa, occupa Roma e nel 1809 fa arrestare il Papa. Tutte queste notizie, comunque, non fanno totalmente perdere la speranza alle Romite di Santa Maria che non vogliono lasciare nulla di intentato nei rapporti con l’amministrazione statale.
Nel 1813 A Lipsia Napoleone viene sconfitto dalla coalizione delle potenze europee, di conseguenza il suo Regno inizia ad indebolirsi. Nel 1814 Pio VII rientra trionfalmente a Roma e tra le varie iniziative di restaurazione vi fu la riorganizzazione del mondo dei religiosi. Nel 1815 a Waterloo Napoleone viene definitivamente sconfitto ed esiliato a Sant’Elena. Il Congresso di Vienna restaura le monarchie europee e La Triplice Alleanza restituisce al potere austriaco il dominio del Lombardo-Veneto. È quindi all’imperatore d’Austria, Francesco I, a cui è rivolta la supplica della Staurenghi del 1816. Nel 1818 alcuni ordini religiosi vengono ripristinati, ma non è ancora il momento per il nostro monastero. Ad ogni modo la Staurenghi con l’aiuto del Card. Gaisruck continua la sua opera di suppliche e richieste alle autorità civili. Un sano realismo imponeva di non riporre troppa speranza negli uomini, anche se tutto faceva pensare che un vero e proprio ripristino era ormai alle porte. Tutte le energie dunque vengono impiegate a ricomporre e salvaguardare una base patrimoniale necessaria al mantenimento della comunità, tenendo conto che comunque gli edifici in cui erano alloggiate le religiose avevano bisogno di manutenzioni dopo anni di trascuratezza. La comunità si ingegnò per un coordinamento delle disposizioni testamentarie. Ogni singola monaca infatti, secondo il potere civile in vigore, poteva liberamente stabilire a chi lasciare la propria eredità dopo la morte. In quegli anni dunque in cui si continuava a chiedere alle autorità civili il permesso di ripristino, vengono dettati da parte delle monche diversi testamenti che significativamente istituivano come erede privilegiata o addirittura universale una fra le altre religiose componenti la comunità. Nel libro della storia vengono riportati alcuni esempi che comprovano l’adozione di questa astuta prassi.
Negli anni 1820-1821 affiora in maniera sempre più concreta la possibilità di un’imminente rinascita del monastero. Infatti il 1 febbraio del 1821 un dispaccio imperiale dava facoltà alle competenti autorità di governo di procedere al ripristino del monastero di Santa Maria elencando una serie di condizioni per cui ciò potesse avvenire, tra cui l’indipendenza tra monastero e santuario e l’organizzazione dell’Educandato, in cui l’incarico di docenza avrebbe dovuto essere conferito ad almeno quattro maestre ritenute idonee. In più un decreto imperiale stabilì che gli istituti religiosi femminili avrebbero dovuto avere un loro curatore secolare che avrebbe provveduto a inoltrare ogni anno al governo un rendiconto di rendite e spese.
Ci siamo. L’atto formale di ripristino ha luogo il 5 febbraio 1822, alla presenza del regio commissario distrettuale di Varese, del prevosto di Varese e del vicario foraneo. La cerimonia solenne in Santuario – che le monache seguono dalla loro chiesa interna – si svolge alla presenza del popolo, vengono benedetti gli abiti e i veli monacali, le Romite intonano il Veni Creator e Il Te Deum e si prosegue con la celebrazione eucaristica. Dopodiché vi è l’elezione dell’Abbadessa e l’assegnazione dei nuovi incarichi comunitari. Insomma la comunità è pronta. Poco dopo la riapertura ufficiale del Monastero ricomincia anche l’attività scolastica esterna e interna. Nel 1823 viene riaperto il noviziato e nel 1828 la comunità risulta composta da 18 coriste, 12 converse e una novizia. La vita si era proprio risvegliata, anche se l’attività dell’educandato assorbiva parecchie energie. C’era poi l’indebolimento dell’identità ambrosiana, vista l’eterogeneità della comunità, il ripristino infatti aveva avuto luogo sotto uno stile marcatamente agostiniano. Tuttavia si era usciti bene da un periodo decisamente oscuro. Alla nostra cara suor Marianna Florinda Staurenghi fu concesso di assistere a questa rinascita e piena di gratitudine spirò nel 1832.